Negli ultimi mesi la parola è entrata decisamente nel linguaggio comune dei media, tanto che spesso si trascura di spiegarne chiaramente il significato: si tratta di spread, termine che compare sempre più insistentemente nelle relazioni sulla situazione economica nazionale ed europea.
Letteralmente, spread significa “ampiezza”, “apertura”, ed indica in senso figurato la “forbice”, il “divario” che divide due realtà a confronto.
Nel gergo della Borsa, ad esempio, lo spread denaro-lettera (locuzione in cui “denaro” significa acquisto e “lettera” vendita) rappresenta la differenza tra la miglior offerta in vendita e la migliore in acquisto; nel linguaggio bancario, invece, lo spread dei mutui è la distanza tra il tasso di riferimento, per esempio l’Euribor, e quello dell’effettiva rata da pagare.
Lo spread tanto citato negli articoli e nei servizi di politica economica dell’ultimo periodo, per denunciarne i massimi storici dall’introduzione dell’euro, indica la differenza tra il rendimento dei titoli di Stato italiani e quelli tedeschi (presi come punto di riferimento in Europa perché particolarmente solidi).
Per capire meglio: gli Stati mettono periodicamente all’asta sul mercato alcuni titoli obbligazionari per ottenere in cambio liquidità dai mercati finanziari e potere così finanziare il debito pubblico. A chi compra i titoli, gli Stati promettono la restituzione del capitale investito alla fine del periodo stabilito e, prima di tale scadenza, alcune “cedole”, ossia interessi di rendimento, sul cui tasso si calcola appunto lo spread (in punti base, equivalenti allo 0,01% del valore dell’obbligazione).
Nel caso italiano, i titoli messi all’asta dalla Banca d’Italia, due volte al mese, sono i BTP (Buoni del Tesoro Poliennali) che hanno scadenza a 3, 5, 10, 15 e 30 anni. Oggi lo spread tra i BTP decennali e i Bund tedeschi (le obbligazioni della Germania) è intorno ai 366 punti base: questa differenza, il cui valore è notevolmente alto, è decisa dal mercato e significa che chi vuole investire nelle obbligazioni italiane pensa oggi di correre più rischi rispetto a un investimento in titoli tedeschi.
Si tratta, però, sempre di un rischio percepito, che non è quindi detto si traduca effettivamente in un default.